Le Conversazioni

30 / November / 2019

Franco Vecchiet – L’arte del vivere

Se domandassimo ai ragazzi del Master in Grafica Pubblicitaria o a chi frequenta i corsi pomeridiani che cosa insegni Franco Vecchiet, la risposta sarebbe xilografia, Storia dell’arte, libro d’artista; ma quello che insegna veramente questo artista poliedrico e geniale, modesto e generosissimo è ben altro: è un modo di concepire la vita.

Ci vorrebbe parlare un po’ di lei? Qual è la sua storia?

Secondo me il colpevole della mia situazione, colui che mi ha legato all’arte, è stato un mio professore allievo del Bauhaus, Augusto Černigoj, forse l’unico Italiano a frequentare questa Scuola in Germania. Io l’ho conosciuto da vecchio, ma lui era stato attivista e promotore delle avanguardie. Dopo aver frequentato il suo atelier, è stato lui a spingermi a guardarmi intorno e a studiare in altre Scuole.

Sono andato alla Scuola di Grafica di Urbino, poi all’Accademia di Lubjana, a Parigi, sia all’Accademia che in Scuole Private, e ogni volta che tornavo e mostravo i miei risultati a Černigoj sentivo critiche verso le Scuole (Accademia, diceva, è sinonimo di conservatorismo) e verso i miei risultati. In realtà lui lodava i miei lavori ma criticava il significato implicito dell’insegnamento che ricevevo. Ho girato l’Europa per capire il senso dell’arte ma allo stesso tempo conquistavo mezzi per acquisire una posizione critica rispetto a quello che imparavo.

Come è arrivato alla Scuola?

Tramite conoscenze che la Scuola aveva con la Scuola di Urbino e altri istituti internazionali. Ho cominciato a tenere corsi quando la Scuola aveva un piccolissimo spazio a San Polo, nel 1969. Nel ’71 la Scuola si è trasferita a Santa Croce, vicino a Ca’ Pesaro. Collaboravo saltuariamente, nel frattempo continuavo a lavorare a Parigi e nell’Est Europa e a fare mostre personali: nonostante le difficoltà non ho mai pensato di fare altro che arte.

Per vent’anni ho fatto solo xilografia, che è la tecnica su cui mi ero concentrato in dagli inizi; pensavo di usare esclusivamente questa tecnica per tutta la vita, ma poi le scene dell’arte sono cambiate, e ho esteso la mia esperienza a tutte le tecniche di stampa, ed anche a lavori tridimensionali e alla pittura. Sono diventato quello che oggi si chiama un artista trasversale.

Ho scritto testi di analisi dell’arte e testi per cataloghi di artisti con cui ho lavorato. Adesso lavoro nel mio studio a Trieste facendo mostre quando riesco, perché l’arte richiede molto tempo. Espongo in Musei e Gallerie, ma anche in spazi meno importanti e simpatici.

Di cosa tratta la sua arte?

Lavoro a cicli, sia per la grafica che per le altre espressioni dell’arte, e per ogni ciclo di lavori ne scelgo alcuni per piccole pubblicazioni a tiratura limitata. Al di fuori della Grafica faccio lavori a tecnica mista e collage, dove recupero serie di elementi visivi estrapolati dal nostro ambiente di vita, riutilizzandoli, modificati, in quadri, nella convinzione che ormai l’assemblaggio sia il metodo più diffuso nel nostro vivere quotidiano. Non esiste più il mestiere, ma l’assemblaggio di elementi: macchinari, computer, automobili. Il professionista non è più in grado di riparare, come l’artigiano di una volta, ma solo di assemblare pezzi di ricambio per sostituire quelli guasti. Il nostro è il Secolo degli assemblaggi minimi che servono a formare un tutto più grande.

Vuole farci un esempio di un suo ciclo di opere?

Mi viene in mente quello degli aerei di carta: negli Anni ’90, quando gli aerei americani passavano sopra la mia casa, disturbavano il mio sonno, ma, soprattutto, andavano a bombardare degli innocenti (il Maestro Vecchiet si riferisce alla Guerra nell’Ex Juogoslavia, n.d.r.). Mi venne l’idea di un Museo degli Aerei di Carta, che facessero da contrappeso agli aerei distruttori. Ho invitato artisti a realizzarne nei modi più diversi, ma tutti rispecchiavano l’idea di Pace contro la Guerra. Ho portato negli Stati Uniti cinquanta aerei realizzati da altrettanti artisti europei. Abbiamo allestito una Mostra nel Museo dell’Aviazione Americana dell’Indiana, in collaborazione con l’Indiana University. Ci aspettavamo di essere ospiti poco graditi, invece molti piloti, anche di bombardieri, venivano a darci gran pacche sulle spalle e dirci che era un’iniziativa molto bella. Abbiamo fatto anche un concorso con i ragazzi di Grafica Pubblicitaria per il logo del Museo degli Aerei di Carta: io sono il direttore del Museo, e per un po’ ci fu il progetto di esporre in luoghi adatti all’argomento, come il Museo della II Guerra Mondiale di Trieste, e anche al Museo d’Arte Moderna, ma al momento tutto il materiale sta sotto al mio letto.

Vuole parlarci delle tecniche di stampa?

La prima che mi viene in mente è la xilografia (l’incisione su legno, n.d.r.), anche in una concezione più allargata: tutta la stampa alta, con matrice a rilievo, non necessariamente legno ma anche linoleum, o agglomerato di legno, più morbido di quello massiccio, e materie plastiche varie. In questo modo anche la matrice a rilievo diventa matrice ad incavo e si può stampare anche come acquaforte o punta secca. Allora entra in gioco il valore che si dà a queste tecniche, che permettono di unificare cose un tempo distanti tra loro. Ormai tutto ciò che è stampato a torchio diventa una fonte di possibili punti di contatto. Uso sempre tecniche non inquinanti, non solo per rispetto verso l’ambiente, ma anche perché consentono un maggior controllo sulla realizzazione.

Lei insegna anche a realizzare Libri d’Artista.

Fui tra i primi, negli Anni ’70, ad interessarmi ai Libri d’Artista, ma mi applicavo a questo tipo di opere in maniera non continuativa. In questi anni ho seguito lo sviluppo del genere, ma non è stato, per il mio lavoro, privilegiato o fondamentale. Il Libro d’Artista mi affascina perché è un modo di lavorare che mette insieme varie tecniche, vari approcci, creando una coerenza prima inconcepibile. In questo modo si possono realizzare anche installazioni da tavolo o sculture da viaggio, ricavare il tridimensionale dal bidimensionale. Una contraddizione che è l’avanzamento dell’arte.

Lei insegna sia nei corsi pomeridiani, frequentati da adulti che vogliono concentrarsi esclusivamente sull’arte, che nel Master in Grafica Pubblicitaria, dove i ragazzi si avvicinano al mondo della comunicazione. Usa approcci diversi a questi tipi di insegnamento?

Per me insegnare è come lavorare nel mio studio, non ci sono differenze. Io faccio cose e cerco di diffondere la mia idea di arte. Se l’arte è lo specchio della vita, io cerco di diffondere un modo di affrontare la vita: le cose sono legate, come la stampa è lo specchio della matrice.

Lei insegna ai ragazzi del Master anche la Storia della Stampa, dai tempi di Gutenberg fino ai giorni nostri. Che utilità pensa che possano trarne?

In più di cinque Secoli d’esistenza, la stampa ha veduto momenti di grande diffusione e momenti minori. Penso non sia possibile privarsi della ricchezza che la stampa porta all’arte, ma anche all’industria, al design, al consumo, alla scrittura. La stampa dà forma al mondo in cui viviamo. L’immagine stampata non è solo il foglietto che teniamo in mano, ma una forza che si sviluppa in tutto ciò che crea, persino navi, architetture: compone il mondo. La grafica segna l’arte del vivere, dalla Seconda Scolastica in poi. Il Taglio di Ockham ha fatto sì che la linea vinca sul colore e che domini sulla grafica. Tutto il mondo è disegnato: non riesco a vedere nulla che non sia disegnato. Per questo mi sono trasferito fuori città, per non vedere sempre il disegno. Ridisegnare il mondo è diventata l’occupazione principale dell’uomo. Una volta il mondo era più colore che linea.

Quindi, si potrebbe dire, più istinto che pensiero?

Proprio così.

Una percezione frequente nel mondo estraneo alla Grafica è che l’incisione sia una tecnica antica, che ha spazio soprattutto nel passato. Invece può essere una forma d’espressione molto innovativa.

L’incisione nasce nello stesso periodo della pittura su quadro. Sarebbe difficile cancellare l’incisione dalla Storia. E se anche dovessero sparire incisione e quadri, non scomparirà la

Grafica. L’arte ha sempre avuto una funzione nella società, ma ha cambiato modi, processi, aspetti. Penso sia difficile vivere senza questo elemento. Da due Secoli, l’arte vive un allargamento del campo d’azione. Le vecchie tecniche non si possono dire superate: tutto rimane, le cose non spariscono, ma ne nascono sempre di nuove, e oggi stranezza vuole che arte possa voler dire anche solo mettere tre oggetti vicini. Come questo accada, nessuno lo sa. Eppure ecco che una maschera religiosa africana, o un esercito funebre di terracotta in Cina, diventano opere d’arte.

Il concetto stesso di arte si sposta, cammina nel nostro cervello in maniera incontrollata, ma in accordo coi tempi in cui viviamo. Lévi-Strauss diceva che non si può chiamare alcuna società primitiva, perché usa tutto nel modo più giusto. Questo vale anche per noi e l’arte.

Quale consiglio darebbe ad un giovane che volesse avvicinarsi al mondo dell’incisione e della stampa?

Gli direi che l’incisione può essere il secondo binario per ogni altra attività nell’arte e nella vita, perché porta con sé una ricchezza storica e culturale che può dare frutti in molti modi. Come il pianoforte nell’Ottocento, posseduto da tutte le famiglie colte, poteva essere suonato in tanti modi diversi. Questi sono veicoli universali.

 

Marta Bobbo

Fotografie di Marta Bobbo, Adriano Lubrano, Lorenzo De Castro